Confisca supermercati a imprenditore di Palermo

Il provvedimento di confisca beni emesso della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo su richiesta della Direzione distrettuale antimafia ed eseguito dai finanzieri del comando provinciale di Palermo

Confisca supermercati a imprenditore di Palermo

Confisca supermercati a imprenditore di Palermo. Tolti 150 milioni di euro a ‘re dei supermercati’ sotto la protezione di cosa nostra.

Confisca supermercati a imprenditore di Palermo

Confisca supermercati a imprenditore di Palermo. Maxi confisca di beni di circa 150 milioni di euro a Palermo e provincia.

I beni sono di proprietà Carmelo Lucchese, 56enne imprenditore nel settore della grande distribuzione alimentare.

Il documento emanato dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo su richiesta della Direzione distrettuale antimafia.

Il provvedimento eseguito dai finanzieri del comando provinciale di Palermo. La confisca riguarda la società Gamac Group srl, con sede legale a Milano.

L’azienda gestisce 13 supermercati tra Palermo e provincia (Bagheria, Carini, Bolognetta, San Cipirello e Termini Imerese).

La società già affidata, quando era scattato il sequestro, a un amministratore giudiziario nominato dal tribunale con il compito di garantire la continuità aziendale.

L’amministratore nominato anche per mantenere i livelli occupazionali per preservare i diritti dei lavoratori, dei fornitori e della stessa utenza.

Secondo le indagini della Dda, Lucchese pur essendo incensurato dicono gli investigatori:

«sarebbe da ritenere un imprenditore colluso alla criminalità organizzata, posto che, seppure non organicamente inserito nell’organizzazione criminale, ha sempre operato sotto l’ala protettiva di Cosa nostra».

Le indagini riguardano anche le dichiarazioni rese da diversi collaboratori di giustizia, come Sergio Flamia, e uno degli ultimi pentiti, Filippo Bisconti, ex capo della famiglia di Belmonte Mezzagno.

Una complessa ricostruzione ha consentito di evidenziare strutturati contatti con la famiglia mafiosa di Bagheria.

Inoltre sono emersi i vantaggi imprenditoriali di cui ha potuto beneficiare nel tempo. Lucchese non avrebbe mai pagato il pizzo.

E grazie all’aiuto dei mafiosi bagheresi non avrebbe avuto aumenti sulla “tassa mafiosa” da versare in città per ogni punto vendita.

Per il tribunale non c’è prova che soldi di Cosa nostra siano finiti nelle società di Lucchese.

Ma l’imprenditore è accusato di essersi rivolto ai boss anche per liberarsi di alcuni soci e sbaragliare la concorrenza.

Così Lucchese sarebbe riuscito a espandersi economicamente nel settore, acquisendo ulteriori attività commerciali.

Scoraggiare la concorrenza anche con la violenza.

Nel 2005, l’imprenditore avrebbe fatto addirittura incendiare un supermercato di Bagheria che rischiava di portargli via clienti.

In merito alle indagini su Provenzano vi è il capitolo più misterioso di tutta questa storia:

è ancora Flamia a raccontare che un ex poliziotto della sezione Catturandi della squadra mobile di Palermo avrebbe passato notizie sulle inchieste a Lucchese, poi finite ai boss di Bagheria.

ha aggiunto il pentito:

«La moglie del poliziotto lavorava in uno dei supermercati».

Per l’accusa l’imprenditore è:

«soggetto socialmente pericoloso».

La maxi confisca riguarda:

Oltre alla confisca delle aziende e delle quote sociali della Gamac Group srl affidati a un amministratore giudiziario 7 immobili di cui una villa in zona Pagliarelli a Palermo;

61 rapporti bancari e 5 polizze assicurative; 16 autovetture, tra cui 2 Porsche Macan.

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