Sequestro milionario ad affiliati al clan Santapaola-Ercolano

Provvedimento eseguito dalla direzione investigativa antimafia. Si tratta di Antonino e Carmelo Paratore, padre e figlio, gestori in passato della discarica di Lentini e contigui al clan

Sequestro milionario ad affiliati al clan Santapaola-Ercolano

Sequestro milionario ad affiliati al clan Santapaola. Beni quantificati in cento milioni di euro bloccati dalla Direzione investigativa antimafia di Catania.

Sequestro milionario ad affiliati al clan Santapaola-Ercolano

Sequestro milionario ad affiliati al clan Santapaola-Ercolano. Beni quantificati in cento milioni di euro sequestrati dalla Direzione investigativa antimafia di Catania a imprenditori ritenuti riconducibili al clan Santapaola-Ercolano.

Il decreto emesso dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale su proposta congiunta della Procura di Catania e del direttore della Dia.

I dettagli dell’operazione illustrate nella sede della D.I.A. di Catania con una conferenza stampa del Vice Direttore Operativo della D.I.A. Generale di Brigata Nicola Altiero e dal Capo del Centro Operativo di Catania Dott. Carmine Mosca.

Il sequestro ha interessato tre persone:

Il boss Maurizio Zuccaro e gli imprenditori messinesi Antonino e Carmelo Paratore, padre e figlio. Zuccaro, storico esponente del clan Santapaola-Ercolano,

attualmente è detenuto in regime di carcere duro per la condanna all’ergastolo dell’omicidio di Luigi Ilardo.

Ilardo ucciso a Catania nel 1996, poco prima di entrare nel programma di protezione riservato ai collaboratori di giustizia.

Già in passato nei suoi confronti la Dia aveva condotto accertamenti patrimoniali.

Gli accertamenti nel 2012 avevano portato alla confisca di beni per un valore di 30.000.000 di euro e l’aggravamento della misura di prevenzione.

L’indagine attuale ha esaminato la posizione economica, finanziaria e patrimoniale dei Paratore, padre e figlio, noti imprenditori del Messinese.

Questi ultimi coinvolti già da indagini penali coordinate dalla Procura etnea, sulla scorta delle quali arrestati nell’operazione Piramidi.

Le due persone sono a capo di uno dei gruppi imprenditoriali più importanti della Sicilia orientale, operanti in svariati settori.

Principalmente l’impresa si è dedicata alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti nel Catanese e nel Siracusano.

Sequestro milionario ad affiliati al clan Santapaola-Ercolano

Nel corso degli anni, padre e figlio sono riusciti a creare una vera e propria galassia di imprese.

Hanno diversificato le attività della famiglia con società attive nei servizi di pulizia degli ospedali, nel settore immobiliare e nella gestione di un noto stabilimento balneare sul litorale catanese.

La vicinanza tra Zuccaro e i Paratore è emersa con certezza per la loro presenza in occasione del battesimo della figlia del boss e in occasione di un matrimonio di un parente.

È proprio questa particolare vicinanza è ritenuta l’origine dell’impressionante escalation imprenditoriale di padre e figlio.

Spiega Carmine Mosca, capocentro Dia:

«I Paratore hanno cominciato nel settore delle pulizie negli ospedali diventando col tempo tra gli imprenditori più facoltosi nel settore dello smaltimento dei rifiuti».

«È emerso un intreccio strettissimo di interessi tra imprenditori e mafia”.

Gli inquirenti per accertare un arricchimento così veloce hanno vagliato attentamente ben quaranta anni della loro evoluzione e sviluppo economico e imprenditoriale.

Da umile carpentiere, il proposto è diventato uno tra i più facoltosi imprenditori siciliani.

L’ascesa imprenditoriale della famiglia ha avuto un’impennata verso la fine degli anni ’90.

Gli investimenti compiuti in quegli anni risultano caratterizzati da massicce immissioni di capitali non giustificate dalla capacità economico–finanziaria che a quel tempo gli imprenditori possedevano.

Già nel 2012, l’inchiesta Piramidi della Dda etnea aveva dimostrato il ruolo dell’imprenditore quale braccio economico del boss.

Con il provvedimento di oggi il Tribunale di Catania ha accolto l’impostazione dell’analisi compiuta dagli investigatori della Dia sulle intercettazioni ambientali e telefoniche.

Vagliate le dichiarazioni di storici collaboratori di giustizia, tra i quali Santo La Causa, Gaetano D’Aquino e Salvatore Viola.

Il Tribunale di Catania ha accolto la tesi secondo la quale le imprese riconducibili alla famiglia dell’imprenditore «siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego»,

richiamando il dettato dell’art. 20 del Codice Antimafia che definisce la cosiddetta “impresa mafiosa”.

Per l’operazione svolta oggi, sin dalle prime luci dell’alba, impiegate unità operative specializzate della Dia.

Il personale di Polizia ha posto i sigilli a 14 società, 7 immobili e svariati rapporti finanziari per un valore stimato di oltre 100 milioni di euro.

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